Recensione: I FANTASMI DI PORTOPALO di Giovanni Maria Bellu

5/01/2017

Natale 1996: la morte di 300 clandestini e il silenzio dell’Italia

è raro che qualcuno vada a deporre un fiore su una tomba senza nome.

Titolo: I fantasmi di Portopalo. Natale 1996: la morte di 300 clandestini e il silenzio dell’Italia
Autore: Giovanni Maria Bellu
Editore: Mondadori
Prima edizione italiana: 23 maggio 2006
Pagine: 252
Prezzo: ebook - € 8,99; cartaceo - € 17,50 

Trama
La notte di Natale del 1996 nel canale di Sicilia avvenne quello che, all'epoca, fu il più grande naufragio della storia del Mediterraneo dalla fine della seconda guerra mondiale. Nel tentativo di raggiungere l'Italia, circa trecento giovani uomini di origine pakistana, indiana e tamil morirono in una «carretta del mare». Il fatto passò quasi completamente sotto silenzio benché un centinaio di superstiti - abbandonati dai trafficanti su una spiaggia del Peloponneso e arrestati dalla polizia greca - l'avessero raccontato nei dettagli. Secondo le autorità italiane, le loro testimonianze non erano attendibili. Se veramente un naufragio di quelle dimensioni fosse avvenuto, sarebbero stati trovati a decine i corpi delle vittime, invece non ne era stato trovato nemmeno uno. Come era possibile? Questo libro racconta, in prima persona, come cinque anni dopo Giovanni Maria Bellu incontrò un pescatore di Portopalo di Capo Passero, Salvo Lupo, che gli rivelò la verità: i cadaveri erano stati trovati, a decine. Ma i pescatori avevano deciso di lasciarli dov'erano. L'avvio di qualsiasi indagine avrebbe significato la chiusura dello spazio di pesca per un tempo indeterminato. Un danno economico enorme. Anche l'Italia ne avrebbe subito uno se si fosse arrestato il percorso del suo ingresso nel sistema di Schengen. A causa dei suoi «confini colabrodo», come li aveva definiti la stampa inglese, era guardata con sospetto. Gli altri Paesi dell'Unione europea temevano che, cadute le frontiere, i «clandestini» avrebbero usato lo Stivale come ponte per sciamare ovunque per l'Europa. Quel gigantesco naufragio, se fosse finito sulle prime pagine dei giornali, sarebbe stato una sanguinosa conferma del sospetto. Così le autorità italiane preferirono girare le spalle. "I fantasmi di Portopalo" racconta l'inchiesta giornalistica che nel 2001 ricostruì la verità del fatto, fino a individuare e filmare con un robot sottomarino il relitto della «carretta del mare». E svela che le paure di vent'anni fa sono le stesse di oggi. Nel frattempo sono morte annegate nel Mediterraneo tra le ventimila e le trentamila persone. I fantasmi di Portopalo sono diventati i fantasmi dell'Europa.

***

È una mattina di fine dicembre o, forse, inizio gennaio, quando un pescatore, Salvatore Lupo, ritrova tra le reti un paio di jeans aggrovigliati. In una tasca c’è una carta di identità.
Il mare è da sempre custode di storie e Lupo teme di sapere a quale storia appartenga quella reliquia. A partire da gennaio 1997, infatti, le reti dei pescatori di Portopalo di Capo Passero (Sicilia) hanno tirato su corpi e successivamente, solo più parti o ossa che, invariabilmente, sono tornate al mare.
Eppure, quella mattina del 2001, Lupo trattiene il documento trovato e per diversi mesi lo nasconde, soprattutto ai propri occhi, in un cassetto. Ma non riesce a dimenticare il volto su quella carta d’identità: appartiene a un ragazzo che avrà all’incirca la stessa età di sua figlia Giusy.

Aveva visto, come fossero una accanto all’altra, la fotografia di Giusy e quella di Anpalagan.

Non può più restare in silenzio. Si rivolge a un amico e tramite lui, la storia raggiunge il giornalista Giovanni Maria Bellu.
La notizia del naufragio del Natale 1996 era stata data con scetticismo: a dispetto della testimonianza di 29 superstiti, le autorità dubitavano che si fosse mai verificato e ne era dimostrazione il fatto che nemmeno un pezzo di legno fosse stato ritrovato.

La lista del governo non si riferiva ai mezzi effettivamente impiegati, ma a tutte le navi che il giorno del naufragio incrociavano nel Canale di Sicilia. Ecco perché erano stati inseriti anche i «pescherecci costieri». E meno male che era inverno, perché se no ci avrebbero messo anche i windsurf.

Bellu, che nel 2001 non ha che vaghi ricordi della più grande strage che il Mediterraneo avesse visto dalla fine della Seconda guerra mondiale, svolge una ricerca preliminare negli archivi del suo giornale e anche nella scarsità del materiale comprende non ci possono essere dubbi: quel naufragio c’era stato.

Altro che «naufragio fantasma», c’era persino un processo in corso.

C’è ritrosia nel raccontare, c’è il desiderio fortissimo di dimenticare, eppure Bellu non riesce a lasciare i morti alla “pace” del mare e inizia a indagare con discrezione, raccogliendo le storie quasi bisbigliate dei pescatori di Portopalo, radunando le prove e le testimonianze. La relativa facilità con la quale riesce a ricostruire il viaggio di Anpalagan (e del fratello), da Jaffna in India fino a quella notte di dicembre, è sorprendente davanti all’arrendevolezza e alle smentite delle autorità.
Al lettore Bellu racconta le fasi della sua ricerca, ma il suo pensiero è costantemente rivolto ad Anpalagan: era a lui che pensava mentre cercava di riempire i silenzi ed è a lui che pensa quando si sofferma a spiegare certe particolari consuetudini della burocrazia o della politica italiana e internazionale. Ieri come oggi, infatti, il controllo dei confini italiani era considerato un grosso problema proprio in seno a quell’Europa unita che si fonda sul principio della libertà e riconosce in ciascun uomo un centro autonomo di vita e non un mero strumento altrui. Eppure, potrebbe essere stato il sogno di essere ammessa all’accordo di Schengen a spingere l’Italia a volgere le spalle alla tragedia, lasciando che l’omertà trovasse una (discutibile) giustificazione.
Nella sua caparbia ricerca della verità Bellu mette insieme i numeri delle persone, vittime e carnefici, coinvolte in una tratta umana che la mente rifiuta di immaginare e che, pure, non è più un mistero. Se da una parte si impegna per dare un volto ai migranti e per spiegare le ragioni che spesso spingono un intero villaggio a investire sui giovani più promettenti affinché raggiungano l’Europa, dall’altra il giornalista cerca di dare spazio anche ai faccendieri coinvolti nell’organizzazione dei viaggi. Emerge così una rete di corruzione e compiacenza tale da nauseare.

«[…] M’ha avvicinato e m’ha detto: sembri un uomo coraggioso, vuoi lavorare con noi? Era il 1991. Da allora non ho fatto altro che vedere poliziotti intascare denaro, e ho caricato e scaricato clandestini sempre sotto gli occhi delle polizie di tutti i paesi del Mediterraneo.»

Nonostante l’evidente impronta giornalistica, che a mio avviso dà un sapore leggermente forzato ad alcune descrizioni, la lettura è resa più accattivante dai numerosi aneddoti e dalle brevi storie che approfondiscono contesti geografici e storici. Li ho apprezzati molto e trovo che accrescano il valore e il contributo offerti dal libro.
Pochi hanno ricordi diretti del naufragio fantasma, eppure l’importanza di conoscere e ricordare è più che mai pressante. Proprio in giorni in cui i barconi che si rovesciano in mare e gli sbarchi non fanno più notizia e, al contrario, suscitano sentimenti controversi, è fondamentale sforzarsi di capire. È vitale desiderare di essere informati ed è umano dare voce, giustizia e memoria a coloro a cui sono state negate.




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